
Sono sempre stato persuaso che credere nei propri convincimenti sia la massima espressione della tolleranza. Tollerare, verbo ambiguo e quasi sempre male usato, che sta ad indicare un atto di contrapposizione politica, religiosa, ideologica, tra le verità di ognuno. E sì, perché il principio della tolleranza nasce e ruota intorno al rapporto che si dovrebbe instaurare tra i sostenitori di diverse verità. Si pensi a coloro i quali sostengono partiti diversi. Oggigiorno il tema della tolleranza riguarda, anche e spesso, la necessaria convivenza con chi viene vissuto come “diverso”, nell’accezione negativa del termine. È tuttavia quest’ultimo un modo “basso” di intenderla e svilente. A Trani, tra l’altro, le due accezioni si fondono ottimamente e danno spunto a riflessioni nell’uno e nell’altro senso. Personalmente mi definisco un tollerante, eppure chi mi conosce rimane spiazzato dalla veemenza con la quale, non di rado, difendo ragioni, idee e principi che muovono le mie azioni. Per tentare di spiegare questa apparente contraddizione mi occorre la necessità di scomodare John Locke, che scrisse: «Bisognerebbe desiderare che si permettesse un giorno alla verità di difendersi da sé. Ben poco aiuto le ha conferito il potere di grandi che né sempre la conoscono né sempre l’hanno in favore […] La verità non ha bisogno della violenza per trovare ascolto presso lo spirito degli uomini, e non la si può insegnare per bocca della legge. Sono gli errori a regnare grazie a soccorsi estrinseci presi a prestito dal di fuori. Ma la verità se non afferra l’intendimento con la sua luce, non potrà riuscirci con la forza altrui». Ecco, quindi, che tolleranza è esercizio pervicace delle proprie ragioni e non indulgenza colposa, silente arrendevolezza al male, all’errore, o, ancor peggio, mancanza di principi, o eccessivo amore del quieto vivere.
Ovviamente, l’atteggiamento tollerante, così inteso, non può prescindere da un utilizzo della retorica, della comunicazione, della dialettica fatta di argomenti, idee e frutto di studi, approfondimenti e ragionamenti ex ante. Altrimenti diventa, in pratica, più conveniente essere intolleranti. Più facile, più immediato, più confacente allo scopo. E però, con l’intolleranza si giunge alle conseguenze che affliggono la nostra amata città dove, ormai, molti ritengono di essere autonomi, indipendenti, autosufficienti e non si rendono conto di essere, “soltanto”, soli. E sì, perché il notevole beneficio dell’esercizio sapiente della tolleranza sta nel fatto che dal confronto tra menti che credono in verità diverse ne deriva inevitabilmente che una delle verità prevalga sull’altra e che, quindi, si attesti come migliore, oppure che si decida che sono entrambe verità valide, oppure, ed è la situazione che maggiormente prediligo, si giunge ad una sintesi tra le verità in contrapposizione. Ovviamente, per un corretto esercizio della tolleranza sarà fondamentale applicare con ferrea determinazione la regola aurea secondo la quale, per dirla con Kant, «la libertà dell’arbitrio di uno può sussistere colla libertà di ogni altro secondo una legge universale» (che è la legge della ragione). Ed invece, a Trani, nella città fortemente voluta tollerante da Federico II, tocca quotidianamente naufragare nel volgare, vacuo, povero modo di alcuni (mai pochi) di intendere la politica. Un piccolo mondo, dove si curano gli interessi di quelli che occupano quel piccolo e arido orto, di cui certi altri vantano un ridicolo diritto di proprietà buono solo per vantarsi nei club della città. Sarebbe utile e giusto, invece, tornare alla fervida contrapposizione di idee. Intravedere negli argomenti altrui spiragli di luce su cui fondare, non distruggere. Se non ci si cimenterà tutti, tutti insieme in questa direzione, Trani rischia davvero il dissesto. Ma non quello finanziario, che pure è dietro l’angolo, ma quello culturale, etico e politico.
articolo tratto da www.tranironco.it