
Quando la legislazione penale si fa emergenziale in uno stato civile dovrebbe suonare l’allarme. Le politiche del diritto penale, infatti, per la portata degli interessi collettivi in gioco, la vita e la libertà personale su tutti, dovrebbero (devono) sgorgare da menti scevre dalle contingenze, impermeabili al clamore della cronaca e fredde ai caldi sentimenti del popolo.
Ed invece, secondo una prassi, neanche tanto recente, i fatti di cronaca, più o meno, usati e abusati da parte di certa politica vanno a determinare
l’agenda politica del Paese con sullo sfondo un demagogico populismo che adombra soluzioni creando problemi con il giochino di ventilare soluzioni.
A fronte dell’aumentare di fenomeni di aggressioni avvenuti nelle private dimore e sull’onda di quanto poc’anzi descritto ne è nato un vento di proposte di legge grossolane, raffazzonate che lungi dal proporsi inserite in un quadro di accrescimento della sicurezza nazionale, sembrano invece dirigersi verso una pericolosa deriva di una giustizia prét á portèr e fai da te.
Dietro slogan, buoni solo per qualche deprimente successo sui moderni mezzi di comunicazione, come i social network, si sta cercando di insinuare che il venir meno del principio della proporzionalità tra offesa e legittima difesa possa essere decisivo nella lotta alla criminalità.
Appare allora opportuno ricordare che venuti meno i regimi totalitari s’è andato affermando lo stato di diritto che vede la centralità della vita come punto fermo di ogni carta costituzionale delle moderne Costituzioni. Eppure, anche prima, ai tempi in cui nel diritto penale la sanzione veniva vista come punizione, principio ben enunciato nel noto brocardo “occhio per occhio, dente per dente”, era chiaro che la “proporzionalità” fosse un cardine del sistema sanzionatorio.
Si diceva che con i nuovi principi dei moderni Stati s’è affermata un’idea di centralità dell’uomo che porta a limitare i poteri punitivi dello Stato a vantaggio di una visione rieducativa della pena e non affatto punitiva. In tal senso l’abolizione della pena di morte, delle pratiche della tortura, ecc. Una visione del diritto penale che punta all’ambizione di restituire alla società essere umani recuperati attraverso atteggiamenti di umanità che riconducono ad un senso di società vista come collettività che affonda le sue radici anche nei valori più nobili dell'animo umano.
Tutto questo lo si ritrova nella Carta Costituzionale ma anche nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nella Convenzione ONU dei diritti dell’Uomo.
Ora, come è noto l’uso della forza è delegato solo allo Stato. Eppure in questi giorni pare si vogliano introdurre pericolose e incontrollate eccezioni volte ad armare i privati in deroga al monopolio della forza pubblica. il rischio è quello di aprire la strada verso il paradosso di un uso più duro della forza da parte del privato rispetto alla proporzionata forza dello Stato. Quasi come se quest’ultimo munisse i cittadini di una potenziale licenza di uccidere che è più comodo chiamare legittima difesa.
Tutto ciò con quali costi e quali benefici per la società?
Nel colorito dibattito televisivo sul tema, non sono emersi confronti con gli Stati che questa esperienza l’hanno già vissuta – come gli Stati Uniti – e che oggi si ritrovano a contare i morti in costante aumento. Tanto meno s’è avuto il buon senso di ascoltare esperti di criminologia che avrebbero potuto spiegare se un delinquente che sa di poter essere più facilmente ucciso, possa uccidere con più frequenza e più di prima. A tal proposito e solo con finalità esemplificative si pensi al caso delle rapine in banca. Rapine appunto. Mentre nelle abitazioni si parla di furti. Ciò a dimostrare, ad oggi, un diverso approccio della criminalità nelle due ipotesi che potrebbe derivare proprio dalla presenza di personale armato nelle filiali degli istituti di credito.
Violentare in questo modo il principio di proporzionalità nella legittima difesa, significherebbe mettere a repentaglio i delicati equilibri della Costituzione e, a livello più basso, del diritto penale.