Informazione giuridica

Un ragazzo, minorenne, è “stato condannato, alla pena di anni tre di reclusione e Euro 18.000,00 di multa, in relazione al reato di cui all'art. 600-ter c.p., comma 1, n. 2, … perché con minaccia di percosse, si procurava, facendosele inviare sul telefono cellulare intestato alla propria madre, svariate fotografie che ritraevano la sua ex fidanzata minorenne, di anni quattordici

all'epoca dei fatti, che la ritraevano nuda nella regione pubica”.

La Corte di Cassazione ha affermato “l'espressione del termine "utilizzo" deve essere intesa, in aderenza alla pronuncia della Cassazione n. 41776 del 2013, come vera a propria "degradazione del minore oggetto di manipolazione non assumendo valore esimente il relativo consenso" (Sez. 3, n. 17178 del 11/03/2010 Flak, Rv. 246982; Sez. 3, n. 27252 del 05/06/2007, Aquili, Rv. 237204), e che era configurabile la condotta di utilizzazione nel caso in scrutinio tenuto conto delle risultanze probatorie e segnatamente del testimoniale dal quale era emersa la sussistenza, tra l'imputato e la persona offesa minorenne, di una relazione caratterizzata da una prevaricazione violenta dell'imputato verso la ragazza minore accompagnata da una soggezione psicologica di quest'ultima verso i comportamenti violenti dell'imputato (pag. 3), motivazione che non presta il fianco a censure di illogicità e contraddittorietà.

In tale contesto, non sono applicabili, al caso in esame, i principi affermati dalla pronuncia della Sez. 3 n. 11675 del 2016, che ha escluso la fattispecie in oggetto in presenza di "selfie" prodotti dal minore autonomamente e volontariamente scattati, e ciò in quanto sulla scorta dell'accertamento fattuale compiuto, la realizzazione delle immagini pornografiche da parte della minore era stata indotta dall'imputato anche con la violenza, situazione che dunque, integra la condotta induttiva punita ex art. 600-ter c.p..

Inoltre, era emersa “la circostanza che era stata accertata la diffusione delle fotografie quantomeno quella inviate al profilo Facebook dell'amico S.C. (pag. 5). In ogni caso, la sentenza impugnata, dopo aver richiamato i principi già affermati dalle S.U. n. 13 del 2000, secondo cui la disposizione di cui all'art. 600-ter c.p., comma 1 presiede alla tutela di quelle situazioni nelle quali siano individuabili indici di concreto pericolo che l'attività posta in essere fosse idonea a soddisfare il mercato dei pedofili, e richiamata la pronuncia di questa Sezione n. 16340/2015, secondo cui l'inserimento di immagini nel citato social network è già elemento per la potenziale diffusività del materiale pornografico, ha correttamente argomentato il pericolo di diffusione”

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-05-2018) 28-08-2018, n. 39039

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