
Una persona è stata condannata per stalking perché “ creando un falso profilo…, inserendo nel profilo foto di una donna molto simile alla persona offesa alla quale attribuiva l’inizio della relazione con sé medesimo e con il quale chiedeva l’amicizia a conoscenti della persona offesa
”. Tali comportamenti continuavano anche dopo aver ricevuto un provvedimento di ammonimento così come previsto dalla legge. Questi comportamenti si univano anche a condotte reiterate di minaccia e molestia perpetrati mediante e-mail e mediante messaggi. Tutto ciò cagionava alla vittima un perdurante grave stato di ansia nonché il timone per la propria incolumità.
Il tribunale di Torino ha ritenuto “corretta la qualificazione giuridica del reato ed afferente la constatazione della fattispecie degli atti persecutori aggravati dalla circostanza dell’aver commesso i fatti essenzialmente attraverso l’utilizzo di strumenti informatici o telematici di cui all’articolo 612 bis I e II comma c.p. trattandosi di condotte reiterate di minacce molestia di varia natura poste in essere dall’imputato ai danni della persona offesa per un arco di tempo apprezzabile, nonché incidenti sulla vita lavorativa, relazionale ed affettiva della vittima così da causarle un perdurante e grave stato di ansia e di paura e per l’effetto da indurla a modificare le proprie abitudini di vita così come riferito dalla persona offesa; con ciò integrando sia sotto il profilo oggettivo e sotto quello dell’elemento psicologico la fattispecie delittuosa in contestazione”
Si ricorda che il reato di così detto stalking è previsto dall’art. 612 bis, rubricato “atti persecutori” del codice penale che prevede che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumita' propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita” e al secondo comma prevede delle aggravanti “La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.
Tribunale di Torino, depositata 13 giugno 2018