
Un marito accedeva “al profilo Facebook della moglie S.M. grazie al nome utente ed alla password utilizzati da quest'ultima, a lui noti da prima che la loro relazione si incrinasse; l'imputato - secondo le sentenze di merito - aveva così potuto fotografare una chat intrattenuta dalla moglie con un altro uomo e poi cambiare la password, sì da impedire alla persona offesa di accedere al social network”. Un marito accedeva “al profilo Facebook della moglie S.M. grazie al nome utente ed alla password utilizzati da quest'ultima, a lui noti da prima che la loro
relazione si incrinasse; l'imputato - secondo le sentenze di merito - aveva così potuto fotografare una chat intrattenuta dalla moglie con un altro uomo e poi cambiare la password, sì da impedire alla persona offesa di accedere al social network”.
Per questo veniva condannato per il reato previsto dall’art. 615 del codice penale, “violazione di domicilio” in questo caso commesso da pubblico ufficiale ma stessa logica, con pene diverse, vale per chiunque.
Le password erano state fornite dalla moglie in un periodo della relazione in cui i rapporti erano sereni e tutto andava per il meglio. Poi i rapporti si sono incrinati e la coppia ha avuto una crisi. In questo periodo il marito accedeva senza alcun consenso della moglie al profilo di Facebook di Lei. In questo caso la Cassazione ha modo di chiarire che “che, come già affermato da questa sezione in un caso analogo al presente (Sez. 5, n. 52572 del 06/06/2017, P.F., non massimata), la circostanza che il ricorrente fosse a conoscenza delle chiavi di accesso della moglie al sistema informatico quand'anche fosse stata quest'ultima a renderle note e a fornire, così, in passato, un'implicita autorizzazione all'accesso - non escluderebbe comunque il carattere abusivo degli accessi sub iudice. Mediante questi ultimi, infatti, si è ottenuto un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante rispetto a qualsiasi possibile ambito autorizzatorio del titolare dello ius excludendi alios, vale a dire la conoscenza di conversazioni riservate e finanche l'estromissione dall'account Facebook della titolare del profilo e l'impossibilità di accedervi. Tale interpretazione è confortata dalla recente Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, Rv. 271061, che sia pure rispetto ad una situazione diversa - ha valorizzato come la forzatura dei limiti dell'autorizzazione concessa dal titolare del domicilio informatico da parte di soggetto autorizzato ad accedervi”.
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-10-2018) 22-01-2019, n. 2905