
“Il Tribunale di Treviso, valutate le c.t.u. disposte, ha negato l'affido cd. "super-esclusivo" della figlia minore della coppia, disponendone invece l'affido esclusivo al padre ricorrente, regolamentando le e confermando”.
La parte soccombente adiva “la Corte d'appello di Venezia, impugnando lo stesso decreto del Tribunale, chiedendone la revoca, con richiesta di affidamento condiviso della minore ad entrambi i genitori, del collocamento prevalente della figlia presso di sè e la conferma del contenuto economico del decreto”.
La Corte di Appello di Venezia disponeva “"super-esclusivo" della minore al padre, la revoca del contributo economico a carico di quest'ultimo, e regolamentando il diritto di visita della madre secondo i criteri dettati. Al riguardo, il giudice di secondo grado ha osservato che dalle due c.t.u. espletate si evinceva non solo un elevato grado di conflittualità della coppia di genitori - con difficoltà comunicative tra loro - ma anche una grave carenza delle capacità genitoriali della B.P.G.; in particolare, dalla prima c.t.u., sulla base dei colloqui clinici e dell'osservazione dei comportamenti della reclamante, risultava: una scarsa flessibilità della madre di accettare il ripristino delle relazioni tra padre e figlia, emergendo la sua volontà di mantenere la figlia con sè escludendo il padre, in contrasto con quanto concordato e suggerito durante la consulenza; la rappresentazione di versioni non veritiere da parte della reclamante e la ferma resistenza della stessa a modificare le proprie convinzioni; una dinamica relazione fondata su elevata tensione, anche in presenza della minore; l'influenza della famiglia materna sulla reclamante con prospettive dannose e rischiose; la necessità di collocare la minore presso il padre, ritenuto unico genitore in grado di dare equilibrio e serenità alla bambina.
La Corte territoriale ha altresì rilevato che: la successiva c.t.u. aveva confermato quanto indicato nella prima, suggerendo anche l'affido "super-esclusivo" a fronte del comportamento della B. da cui era sorto il rischio di alienazione della minore rispetto al padre (rilevando altresì che la madre sembrava affetta dalla cd. sindrome della "madre malevola" - cd. "MMS"), emergendo anche psicopatologie accertabili; al riguardo, il secondo c.t.u. aveva rilevato che la madre, pur mantenendo con la figlia, almeno in apparenza, un sufficiente rapporto di accudimento, esercitava nei confronti dell'ex partner una condotta tendente ad impedirgli un normale ed affettuoso rapporto con la minore, mirando ad estraniarlo da ogni scelta che la riguardasse; la madre si era resa responsabile di una totale mancanza riflessiva su di sè e sulla minore la quale era stata fortemente segnata da "scellerati" comportamenti della stessa madre e della nonna materna; la reclamante aveva indotto due pediatri a non seguire più la minore a seguito della richiesta, da parte della B., di certificati fasulli finalizzati ad impedire l'accesso al padre; le frequenti assenze scolastiche della minore erano imputabili alla reclamante la quale aveva agito al fine di evitare il prelevamento paterno della figlia.
La Corte territoriale ha ancora osservato che: le conclusioni dei c.t.u. erano da condividere in quanto fondate su risultanze cliniche, oggetto di specifico accertamento di fatto, non motivatamente contrastate con elementi probatori, avendo gli stessi consulenti valutato in contraddittorio le contestazioni dei c.t.p.; le conclusioni cui sono pervenuti i c.t.u. non erano difformi dalla reale situazione che comprovava un comportamento materno improntato a gravi carenze della genitorialità con volontà della B. di estraniare la minore dal padre, a fronte invece della buona capacità genitoriale dimostrata dal Be.; pertanto, non era condivisibile il decreto emesso dal Tribunale che aveva negato l'affido "super-esclusivo" della minore al padre, argomentando dalla consapevolezza dimostrata dalla madre della gravità dei suoi comportamenti, tenendo conto che le allegazioni dell'ex partner, contestate, erano state chiaramente dimostrate”
Pervenuto il procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione questa, invece, evidenziava come “in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass., n. 6919/16).
E' stato altresì affermato che nei giudizi in cui sia stata esperita c.t.u. medico-psichiatrica (allo scopo di verificare le condizioni psico-fisiche del minore e conclusasi con un accertamento diagnostico di sindrome dell'alienazione parentale), il giudice di merito, nell'aderire alle conclusioni dell'accertamento peritale, non può, ove all'elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto - sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici - a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare (Cass., n. 7041/13).
Ora, delineati i principi affermati da questa Corte in fattispecie analoghe, occorre rilevare che, nel caso concreto, il contenuto e le conclusioni delle c.t.u. sono in molti punti generici e non chiari circa la ritenuta carenza delle capacità genitoriali della ricorrente. Anzitutto, se è vero che non è contestato che quest'ultima abbia intrattenuto un rapporto, breve, molto conflittuale con il Be., cercando, in qualche occasione, di ostacolare o impedire le visite del padre alla figlia (anche attraverso fatti indiscutibilmente gravi, quali i certificati medici falsi e le assenze scolastiche del minore che la Corte di merito imputa alla madre, attingendo dalle relazioni dei c.t.u.) e che la B. non ha collaborato con i c.t.u, è stato altresì accertato che quest'ultima manteneva con la minore "almeno in apparenza, un sufficiente rapporto di accudimento". In realtà, la Corte territoriale ha valorizzato, ai fini della decisione impugnata, alcuni rilievi critici privi di concretezza empirica, che costituiscono generiche deduzioni tratte da premesse di non univoca interpretazione. Infatti, a sostegno della pronuncia in esame, la Corte territoriale ha fatto riferimento a "gravi ripercussioni ed effetti sulla minore", a "condotte scellerate" della madre senza però indicarle e specificarle, nonchè ad un comportamento "improntato a gravi carenze nella genitorialità con volontà tesa ad estraniare la minore dal padre a fronte di una situazione in cui si denota la buona volontà genitoriale del Be.", omettendo di esplicitare quali siano stati gli specifici pregiudizi per lo sviluppo psico-fisico della minore, peraltro non considerando le possibili conseguenze di una brusca sottrazione della minore alla madre.
In altri termini, il riferimento alla condotta tesa ad estraniare la figlia dal padre - sostanzialmente ricondotta alla cd. PAS, ovvero alla cd. "sindrome della madre malevola" - e la evidenziata conflittualità con l'ex-partner, non appaiono costituire fatti pregiudizievoli per la minore alla stregua della descrizione delle vicende occorse, tenuto comunque conto del controverso fondamento scientifico della sindrome PAS, cui le c.t.u. hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l'effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell'ambito delle patologie cliniche. Sul punto, invero, va rimarcato che la Corte veneziana, esaminando le c.t.u., ha affermato che sarebbero state riscontrate psicopatologie nei confronti della ricorrente, intendendo di fatto che le stesse fossero da identificare nella citata PAS (o anche qualificata dal giudice di merito come "sindrome della madre malevola"), considerando l'assoluta mancanza di riferimenti ad altre ipotetiche patologie.
Al riguardo, giova evidenziare che, in materia di affidamento dei figli minori, è stato affermato che il giudice deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio, che potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonchè sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore. La questione dell'affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità (Cass., n. 28244/19).
Orbene, nella fattispecie, deve escludersi che la Corte d'appello, nel disporre l'affidamento esclusivo del minore al padre, abbia garantito il migliore sviluppo della personalità del minore stesso, escludendo l'affidamento condiviso su una astratta prognosi circa le capacità genitoriali della ricorrente fondata, in sostanza, su qualche episodio, sopra citato (pur grave) attraverso cui la madre avrebbe tentato di impedire che il padre incontrasse la bambina, senza però effettuare una valutazione più ampia, ed equilibrata, di valenza olistica che consideri cioè ogni possibilità di intraprendere un percorso di effettivo recupero delle capacità genitoriali della ricorrente, nell'ambito di un equilibrato rapporto con l'ex-partner, e che soprattutto valorizzi il positivo rapporto di accudimento intrattenuto con la minore, sebbene il riferimento della Corte di merito all'apparenza di tale rapporto costituisca una chiara conferma del fatto che il suo giudizio sia stato incentrato esclusivamente sul disvalore attribuito all'asserita PAS. Se è vero, in proposito, che i consulenti hanno riscontrato una forte animosità della ricorrente nei loro confronti e una certa refrattarietà a seguire i suggerimenti e le prescrizioni da loro impartite in ordine al rapporto con la minore e con l'ex partner, è altresì vero che proprio tali limiti caratteriali della madre avrebbero dovuto essere affrontati e valutati nella prospettiva di un'offerta di opportunità diretta a migliorare i rapporti con la figlia, in un percorso scevro da pregiudizi originati da postulate e non accertate psicopatologie con crismi di scientificità. Dagli atti emerge, invece, che le asprezze caratteriali della ricorrente sono state valutate in senso fortemente stigmatizzante, come espressione di un'ineluttabile ed irrecuperabile incapacità di esprimere le capacità genitoriali nei confronti della figlia, pur in mancanza di condotte di oggettiva trascuratezza o incuria verso quest'ultima, anche minime, o anche di mancata comprensione del difficile ruolo della madre. Al contrario, proprio il riferimento della Corte veneziana al buon rapporto di accudimento della minore da parte della ricorrente dimostra plasticamente il travisamento in cui lo stesso giudice d'appello è incorso nel ritenere che la B. fosse stata protagonista di un comportamento concretizzante l'invocata cd. PAS (dall'inglese: Parental Alienation Syndrome) desunto dalle predette condotte, attraverso, come esposto, un implausibile sillogismo la cui premessa principale è costituita da un ingiustificato severo stigma di comportamenti della madre fondato su un mero postulato.
Da tale impostazione del provvedimento in esame discende anche la censurabilità del riferimento al padre quale unico genitore "in grado di dare equilibrio e serenità alla bambina", affermazione che è il diretto precipitato di quanto argomentato sulla PAS. La pronuncia impugnata appare, dunque, essere espressione di una inammissibile valutazione di tatertyp, ovvero configurando, a carico della ricorrente, nei rapporti con la figlia minore, una sorta di "colpa d'autore" connessa alla postulata sindrome.
Ora, il collegio non intende (e non può) entrare nel merito della fondatezza scientifica della suddetta PAS, ma deve invece conclusivamente rilevare, in conformità dell'orientamento sopra citato, che i fatti ascritti dalla Corte territoriale alla ricorrente non presentano la gravità legittimante la pronuncia impugnata, in mancanza di accertate, irrecuperabili carenze d'espressione delle capacità genitoriali, considerando altresì il profilo, palesemente trascurato dalla stessa Corte di merito, afferente alle conseguenze sulla minore del c.d. "super-affido" della minore al padre in ordine alla conseguente rilevante attenuazione dei rapporti con la madre in un periodo così delicato per lo sviluppo fisio-psichico della bambina. Per quanto esposto, il decreto impugnato va cassato, con rinvio alla Corte d'appello di Brescia, in considerazione dell'opportunità che la causa sia trattata da altra Corte territoriale, anche perchè provveda sul regime delle spese del giudizio”.
Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 22-01-2021) 17-05-2021