Informazione giuridica

LO STRANO CASO DEI BLOCCHI SUL SOCIAL CLUBHOUSE. C’È REATO? È nato da qualche tempo ma ha già fatto abbastanza parlare di se. È Clubhouse il social audio che unisce (e divide?) le persone. Il social si presenta con una “home” che viene chiamata “hallway” dove è possibile vedere delle “room”, stanze create e/o in cui sono presenti le Persone a cui è stato messo un “follow” (che tanto somiglia, non solo etimologicamente, a quello di Twitter, e che è un modo per seguire coloro che più ci hanno colpito e che desideriamo incontrare ancora sul social). Una volta dentro le stanze, queste sono diversificate in due livelli. Il così detto “palco” dove si può “salire” e il così detto “audience” dove, quando si decide di non salire sul palco, si rimane in ascolto. Una volta sul palco gli utenti sono diversificati in “moderatori” (creatori della room o utenti sul palco da quelli nominati “moderatori”) e semplici “speaker”. Si parla attivando un microfono e, buona regola, ci si muta chiudendo lo stesso. Tanti i “topic” (gli argomenti) che si affrontano nel corso delle lunghe giornate, così come tanti sono i Club, più o meno affollati, che sono delle vere e proprie “organizzazioni” composte da utenti che propongono menu diversi, di dialogo e ascolto, in base alle più disparate scelte di cosa trattare. Tra le tante cose che l’applicazione consente di fare nei confronti di altri utenti, evidentemente, poco graditi, c’è quella di poter bloccare qualcuno o qualcuna. Si legge nel regolamento sul sito ufficiale dell’app: “Puoi bloccare un utente premendo i 3 punti verticali sulla pagina del suo profilo e selezionando "Blocca". Ciò significa che non possono vedere o entrare in nessuna stanza virtuale che crei o in cui sei un moderatore o un relatore. Significa anche che: Se un utente bloccato sta parlando in una stanza che altrimenti sarebbe visibile a te, quella stanza sarà nascosta dal feed del tuo corridoio per impostazione predefinita. Tuttavia, ci sarà una capsula nella parte inferiore del tuo feed per farti sapere che la stanza nascosta esiste. Se desideri comunque vedere la stanza, puoi scegliere di toccare quella capsula e rivelare la stanza. Se sei solo un membro del pubblico nella stanza virtuale e un utente bloccato entra nel pubblico, non verrai avvisato in modo proattivo. Se c'è qualcuno che molte persone nella tua rete hanno bloccato, ci sarà un "!" icona sul profilo utente di quella persona per informarti. Questo è personalizzato per te e ha lo scopo di aiutarti a prendere decisioni su quando seguire qualcuno o portarlo sul palco”. Questa regola è inserita nella parte delle regole in cui, chi ha scritto il regolamento, si pone la seguente domanda “Se qualcuno non ha violato nessuna delle nostre linee guida, ma preferiresti comunque non vederlo o ascoltarlo in giro, ecco alcuni strumenti che potrebbero aiutarti”. Ecco che il “blocco”, quindi, insieme ad altri strumenti (per es. quello di togliere il “follow” o fare un report per segnalare violazioni precise) è, per stessa concezione originale dei creatori dell’app una misura del tutto discrezionale ma, anche, chiaramente arbitraria. Com’è noto la Corte di Cassazione, più volte, ha evidenziato che i social network sono delle vere e proprie piazze virtuali e che, quindi, molti dei reati che, purtroppo, possono essere perpetrati in una pubblica piazza ben possono essere perpetrati anche sui social. Vediamo allora da vicino che tipologia di reati potrebbero essere interessati da questa anomala questione del blocco su Clubhouse. Occorre premettere che anche in altri social esistono i blocchi ma con diverse peculiarità. Su Whatsapp per esempio dove è ben possibile bloccare un singolo utente. Tuttavia, qualora qualcuno ci inserisse in un “gruppo WhatsApp” sarebbe ben possibile “incontrare” l’utente bloccato. Starebbe al “bloccante” la scelta o meno di “abbandonare” il gruppo o meno. Questo accade, anche, nei gruppi Facebook dove, tuttavia, bloccante e bloccato non si “vedono” tra loro ma non si impediscono l’un l’altro di avere a che fare con gli altri utenti del gruppo. Questa diversità potrebbe anche corrispondere ad una esigenza di evitare che sia lesa la reputazione della persona bloccata. Ebbene sì. Ricordiamo che a mente dell’art. 595 del codice penale “Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro”. Ora, creare uno strumento che rende palese a tutti gli utenti il blocco di qualcuno, perché impedisce a persone, che spesso si conoscono tra loro, di non accedere a stanze in cui ci sono bloccati e bloccanti ma anche altri, significa anche creare le condizioni per “comunicazioni” diffamatorie che, infatti, sono all’ordine del giorno. “Ho bloccato Tizio perché violento”, “ho bloccata Caia perché razzista”. Ma chi ha accertato queste violenze? Chi ha verificato questi comportamenti chiaramente illeciti? Nessuno! E nessuno lo ha accertato perché come abbiamo visto è la stessa applicazione che regolamenta la questione come qualcosa che si può fare se non si ha il piacere di “incontrare” qualcun altro. Si ricorda che l’accertamento di comportamenti illeciti è delegata nel nostro Paese all’autorità giudiziaria e non alla sensibilità di chiunque. Ma non solo. L’art. 610 del codice penale prevede che “Chiunque, con violenza… costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Ebbene, la questione dei blocchi è stata posta all’attenzione dei creatori dell’app che molto gentilmente a cadenza settimanale aggiornano gli utenti di tutto il mondo con un appuntamento fisso durante il quale vengono preannunciate novità, si discute del funzionamento stesso del social e di tanto altro ancora. Gli stessi creatori pare abbiano risposto che il problema si verifichi in Paesi in cui il “social” è poco diffuso, come in Italia, e che la questione non si è mai posta negli Stati Uniti. Un argomento debole per chi invece si dovrebbe preoccupare di tutti i Paesi in cui si svolge la propria attività e dovrebbe meditare di mediare le diverse questioni anche in base alle diverse realtà normative dei diversi Paesi in cui l’app “funziona”. È tuttavia un “film” già visto. Anche ai tempi in cui Facebook non aveva sedi in Europa si posero tutta una serie di problemi simili. Si pensi alla possibilità che c’era un tempo su quel social di trasmettere qualsiasi brano musicale. Oggi la questione della musica è abbastanza cambiata eppure qualche anno fa qualcuno poteva pensare di poter avere il diritto di trasmettere musica su Facebook solo perché previsto dal “contratto” che tutti noi “firmiamo” quando prestiamo i vari consensi al momento della nostra iscrizione al social. In Italia, perché della nostra realtà e delle nostre leggi si vuole trattare, si è creata una comunità di poche centinaia di persone, al più qualche migliaia. Tra queste persone si sono create inevitabili rapporti umani, alcuni dei quali anche stretti. Ebbene, attraverso i “blocchi” è data la possibilità di “ostacolare” questi rapporti. Basta, infatti, che qualcuno blocchi un utente e che partecipi alle room a cui, magari, quell’utente è “affezionato” per impedirgli un diritto, questo sì esistente nel nostro Paese, ai rapporti umani, alle amicizie, alle relazioni interpersonali ma anche alla conoscenza, all’informazione, allo svago e tanto altro. Insomma il blocco sembrerebbe davvero essere quell’atto di violenza che, come abbiamo visto secondo l’art. 610 del codice penale, “costringe altri a tollerare qualche cosa”. Inoltre, un uso eccessivo, verrebbe quasi da dire “punitivo” del blocco (si pensi a chi potrebbe pensare, di bloccare qualcuno per mero sfizio, per cattiveria, o cose similari, o a chi, ma sono ipotesi, entri in room per il solo fine di non farle vedere a chi sa a quelle room e alle persone lì dentro affezionate), in uno ad altri atteggiamenti persecutori, si pensi alla diffamazione di chi in pubblico “offenda l’altrui reputazione”, o si faccia molesto, potrebbe integrare il reato di atti persecutori, anche noti come “stalking”. La norma, art. 612 bis del codice penale, sancisce che “è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Non meno pertinente sembra il reato di cui all’art. 660 del codice penale che prevede che “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico… per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516”. Si spera presto che ci sia un’armonizzazione delle regole “contrattuali” dell’app con quelle della normativa. Importante appare la possibilità di poter proporre “ricorso” contro i blocchi pretestuosi che possano vedere nel social stesso una possibilità di organo terzo e imparziale che possa decidere sulla fondatezza o meno del blocco affinché quest’ultimo non sia lasciato alla completa arbitrarietà di chi lo “impone”. Altra cosa che potrebbe in parte almeno limitare questa pericolosa deriva, foriera di dissidio sociale, è la possibilità di poter aprire “room” esenti dalla regola dei blocchi in modo da dare a tutti la possibilità di “fraquentarsi” in libertà e lasciando così, almeno ai creatori delle stanze la libertà di decidere se creare stanze “inclusive” o meno. Ultimo ma non ultimo. Abbiamo detto della similitudine praticata dalla Corte di Cassazione tra la piazza pubblica ed i social che sono stati definiti “piazza virtuale”. Ebbene, questi blocchi sembrerebbero dare la possibilità ad un privato cittadino di esercitare quella forza che nel nostro Paese è concessa solo allo Stato mediante procedimenti che hanno addirittura una rilevanza costituzionale. Non è dato al privato cittadino la possibilità di privare nessuno della libertà di frequentare altri. Ovunque, dovunque, tranne su Clubhouse. Tanto si scrive per amore di Giustizia, del Diritto, ed un Social che forse è molto di un più di un Sociale e che, verosimilmente, ha cambiato il modo di fare web, di interagire tra le persone, di stare, in qualche modo al mondo. Evviva il Diritto, evviva la Giustizia, evviva Clubhouse. Luca Volpe

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